Recensione del Prof.  Valerio Mariani tratta da “Le sette muse”, trasmissione radiofonica del Giornale Radio Rai, condotta dal Prof. Petroni, 1972

“Il ritorno”, quello del pittore Duccio Guidotti (che espone alla Galleria Canova), è da considerare come il più felice degli avvenimenti nella carriera di un artista: la vitalità e anche il difficile scontentamento di certe nature d’artista come quelle di Guidotti, l’avevano attratto verso la collaborazione alle tecniche del cinema e alla ricerca di mezzi espressivi più “moderni”: ma eccolo, quasi “rinverdito” dalle esperienze più diverse, ritornare a quel richiamo della pittura che già gli aveva dato la gioia di essere riconosciuto pittore senza mezzi termini. Diciamo che, come tutti gli aggiornamenti nei campi dell’arte, anche la ripresa di contatto col pubblico degli amatori, degli intenditori e della critica, ha potuto dare i suoi frutti positivi solo in quanto l’artista ha saputo tener fede alla sua vocazione, anche se impegnato in forme “periferiche” ma non per questo meno utili all’esperienza figurativa.

La bella esposizione si apre con una sala dove sono testimoniati gli aspetti meno recenti della sua arte: importanti per intendere lo sviluppo della visione pittorica tipica di Guidotti, anche sotto l’influsso della “scuola romana”. Le più antiche pitture rivelano il futuro artista personale sempre più attento allo studio di una stesura compatta nel colore, in cui la pennellata si spegne per dar luogo ad una rigorosa compagine plastica.

Ciò che si vede nelle altre sale è appunto il risultato delle sue ultime esperienze, databili a due o tre anni fa, in una nuova certezza di impaginazione e nello sfociare verso tecniche adatte a meglio limitare le masse plastiche delle immagini e, finalmente, con l’intervento di fondi oro o lievi, impalpabili riflessi luminosi, contro il quale il colorito delle figure assume particolare risalto. Pensiamo che il lungo periodo di raccoglimento personale e di apparente silenzio abbia fatto meditare Duccio Guidotti sulle necessità di assottigliare i mezzi espressivi e di ricercare nella composizione del quadro una “chiusura” geometrizzante che isolasse le singole immagini dal contesto dell’ambiente.

Non si può fare a meno di ricordare certi momenti della pittura moderna in cui il fondo oro si riaffacciava, il periodo più tipico fu quello della secessione viennese, di Klimt e del simbolismo ma qui, nella mostra di Guidotti, il fondo dorato perde il suo carattere decorativo o allegorico, per assumere quello più prezioso di una sollecitazione di luce, come del resto fecero anche pittori del Rinascimento dopo il Medioevo.